Così oggi è arrivato il momento del secondo, ed ultimo, almeno credo (mai dire mai... potrei nuovamente cercare di "battere me stessa" e provare a fare di meglio... i margini di miglioramento sono notevoli ma... non è detto che io debba essere in grado di farli diminuire...), racconto breve pensando a Flaubert; se il primo aveva una pecca in partenza... questo ne ha almeno due, infatti, così com'è, può essere collocato in un tempo e in uno spazio definiti. Se per il tempo, contemporaneo al grande scrittore, si può facilmente apportare una modifica (che non faccio), per l'ambientazione direi proprio di no... quindi una cosa è certa, dobbiamo escludere una serie di luoghi con caratteristiche diverse da quelli in cui si svolge la storia! Non è più una storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi... ma ha lo stesso odore fresco e pulito che ho sentito oggi... almeno per me è così!
- Ci penso da un po', il grande Flaubert ha lanciato una sfida, o così io l'ho intesa e non sono certamente il solo. Immagino che i più grandi scrittori si cimenteranno in questa impresa, maestri e padroni come sono della lingua e dello stile, se non riusciranno ci andranno comunque vicino. Voglio provarci anch'io, ben sapendo da me di non possederne il talento; non voglio dimostrare niente a nessuno, se credo funzioni la terrò conservata tra le mie sfide vinte, altrimenti nel mucchio dell'altre. Non è forse la sfida più bella quella che fai con te stesso? Voglio provare dove altri provano ma il mio sapere è umile e non posso competere neppure con gli scrittori men bravi, quindi il mio partecipare sembrerebbe quasi un affronto, per questo lo faccio solo per me e poi la metto da parte.
Arrovello in ogni momento la mente tutto preso da questa possibile vicenda che ho da narrare e capisco che a scriverla non ho nessuna possibilità di riuscita e quindi decido di farlo in un modo diverso: mentre gli altri la scriveranno con inchiostro e fantasia, io scriverò la mia nella storia, facendo di essa parte della mia storia e sperimentandone la possibilità su me stesso.
Ho preparato ciò che mi occorre per ripartire da zero, una tunica, un paio di calzature, una sacca per la frutta che coglierò e una borraccia per l'acqua. fabbricherò da me gli attrezzi per procurarmi il cibo. Solo, lontano da tutti, vivrò una storia di cui nessuno avrà notizia se non nel mio racconto, semmai tornerò e vorrò raccontarla.
Cammino a lungo cercando un anfratto che possa ospitarmi, lo ripulisco e lo rendo dimora fornendolo di un giaciglio di foglie, accendo il fuoco con il metodo dei progenitori ed esploro tutto intorno. Non so proprio che vita sarà questa mia, eremita per dimostrare a me stesso che esiste una storia che vive di lei sola.
Cammino e cammino e sarei morto di già se non avessi trovato dove attingere acqua, ma prima di morire avrei escogitato il modo di narrare ogni passo su questo sentiero, affinchè il mio sforzo non andasse perduto.
La sacca che porto è ancora quasi vuota, ho faticato a cercare da mangiare e, ad ogni frutto, ad ogni radice mi ponevo mille domande; i frutti e le piante a me sconosciute sono tante e da ognuno di essi non so che aspettarmi, varrebbe lo stesso per i funghi, gli uccelli ed ogni animale che posso incontrare. L'anfratto che ho trovato è troppo vicino al luogo in cui abitavo, ho deciso così di andare ancora e cercare un posto un po' più isolato in modo che non si possa avere aiuto neanche fortuito.
Intanto cercando le foglie, accendendo il fuoco, raccogliendo erbe e frutti che non so se mangerò, s'è fatta ormai sera; seduto sul giaciglio accanto al fuoco, ho posto dinanzi a me, in terra, ciò che ho trovato e l'analizzo. C'è una radice bianchiccia che guardo e rigiro, sò già che la morderò, s'è cattiva la butto, ma sono in parte restio. Poi non posso lasciarmi morire di fame, l'addento e avidamente la mangio. I dolori che ho all'addome non so se sono di fame o per quella radice, la paura mi fa chiudere gli occhi e la stanchezza mi aiuta a dormire un sonno agitato. Non dev'essere passato poi molto, mi dico aprendo un occhio e guardandomi attorno, il fuoco è ancora acceso e la sacca su una pietra lì accanto; la fame mi toglie la calma, mi domando che cosa mangiare e guardo di nuovo il mio bottino. Alcuni piccoli frutti che sembrano innocui m'invitano con il loro profumo... mi ricordano qualcosa, mi dico, spero non sia nulla di male. Dopo averli mangiati ritorno a dormire.
La fame non placata mi sveglia al sorgere del primo raggio di sole, con la borraccia e la sacca riprendo il cammino. Arrivo così ad una vasta distesa fitta di verde, ad essere un poco esperto avrei da mangiare... se solo sapessi cacciare! E mi pongo il quesito. Mi occorre la legna per fare arco e frecce. Mentre mi volgo intorno a guardare in cerca di questo, un cinguettio attira la mia attenzione e scorgo un nido con cinque pigolanti uccellini. Dimentico la fame, lo stomaco che mi fa male e mi metto estasiato ad osservare. Due uccellini più grandi, nel volo avanti e indietro, sfamano i piccoli becchi che mai sembrano sazi e mi perdo così in un tempo che non misuro, immerso nella vita e nella sua essenza.
I profumi ora dolci, poi acri, ora caldi di sole poi terrosi e freschi di pioggia, uguali e sempre diversi, mi accolgono ogni giorno e così trascorro il mio tempo, mangiando ciò che trovo (nei giorni l'esperienza mi porta a raccogliere ciò che più mi è gradito e ormai familiare) e osservando la piccolo famiglia che cresce.
Sugli alberi ormai i fiori profumano più intensamente e quasi perderanno i petali, e assisto oggi alla prima lezione di volo; il più piccolino dei fratelli è anche il più coraggioso e tenta un piccolo salto sbattendo le ali inesperte. E' tutto un richiamo, un incitamento col capo, uno spostamento leggero, un ripetere continuo del salto per dare l'esempio aspettando, più avanti sul ramo, che provino e saltino i piccoli allievi. Uno di loro tentenna ed ha più paura.
Una lunga schiera di formiche sale e scende da un sasso accanto all'albero degli uccellini, lavorano, laboriose, incessantemente; una, su un chicco minuscolo che non riesce più a trasportare, sembra invii richiesta di aiuto e in poco tempo quattro di loro accorrono. Poi tirano e spingono insieme.
I frutti profumati e succosi che placano ogni mia fame, ogni mia sete; farfalle variopinte colorano la loro breve vita, l'acqua della sorgente che scorre fresca e incessante, gli scoiattoli a caccia di frutti corrono allegri avanti, poi tornano indietro, si scambiano qualcosa, ritornano a correre leggeri.
Ogni cosa mi appare armoniosa, la vera poesia del creato, la poesia che vorremmo dire scrivendo. La luce, il cielo, le stelle. E pensando alle stelle stanotte dormirò fuori, accenderò un piccolo fuoco sicuro, lo circonderò di erba bagnata che continuerò a innaffiare di tanto in tanto, questa e i sassi dovrebbero bastare.
E guarderò le stelle e in ogni istante sentirò il profumo, l'amore, la forza del creato; voglio fondermi in esso, ora che l'ho scoperto, ora che l'ho sentito, ora che lo vivo e respiro... inebriarmi e perdermi in esso e quindi trovarmi!
E' mattina, il sole mi sveglia col primo chiarore ed io ora, dinanzi a tanta grandezza, apprendo ch'esiste una storia autonoma, che vive di essa... LA VITA!
Gabriella Dell'Aria
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